Crossdresser o travestito? Lost in translation.

(16 Marzo 2015, dal vecchio blog)

Quando ho preparato la mia tesi non ci ho fatto caso, ho dovuto farci caso successivamente.

Parlo del concetto di “Crossdressing” e “Travestitismo” spesso usati come sinonimi, o addirittura uno la traduzione dell’altro.

Chiariamo:

Il Crossdressing è il vestirsi con abiti generalmente identificati con l’altro sesso, tutto ciò al fine di “passare”, ovvero essere identificati, riconosciuti come appartenenti all’altro sesso. Questo può accadere nella vita o nell’ambito di una performance. Non dice nulla sull’orientamento né è sempre associato ad una disforia di genere.

Il Travestitismo è invece un feticismo, che consiste nel provare piacere nell’indossare gli abiti generalmente identificati con l’altro sesso, senza per questo ritenere di dover essere identificati con quest’ultimo. Generalmente, essendo un atto appartenente alla sfera del sesso, il travestitismo si attua nel privato.

Così spiega Meredith Garber, in soldoni, nel suo libro “Interessi truccati“*, proseguendo con la spiegazione di tutte le sfumature di genere manifesto (nel senso che noi VEDIAMO che il genere non è binarista ma la sfumatura è riconoscibile).

Ma il concetto di travestitismo è molto più complesso in realtà per quanto riguarda la lingua italiana e la storia dello spettacolo in Italia. . Diciamo che in generale è “l’abitudine a vestire i panni dell’altro sesso”, per parafrasare la spiegazione di Wikipedia, piuttosto chiara e con le modifiche storiche del termine, ma appunto nel tempo e con l’avvento della psicanalisi e la catalogazione dei feticismi il significato si è modificato.

Il travestitismo come abitudine a vestire i panni dell’altro sesso esiste da millenni, sia nel teatro antico (in cui le donne non recitavano, al massimo facevano le comparse mute) poi in avanti con l’utilizzo di attori di un dato sesso nei panni di personaggi dell’ altro sesso (spesso Peter pan, ma ad esempio il ruolo di “suocera scorbutica” veniva spesso vestito da un uomo, perché il baritono dava più consistenza al personaggio burbero) sia nella società, ma certo di personaggi come le vergini giurate dell’Albania la nostra società (che sta vivendo una fase di rigenderizzazione forzata) preferisce dimenticarsi. Ora sarebbe lungo da spiegare, ma fino circa al 1600 alla società non importava nulla di ciò che avevi in mezzo alle gambe, interessava solo il ruolo che intendevi ricoprire nella società e lo potevi fare “vestendo i panni” che quel ruolo richiedeva.

La necessità di interessarsi del fatto che i tuoi abiti coincidessero col tuo sesso biologico e con i tuoi cromosomi è relativamente recente.

Dicevo.

Il concetto di travestitismo fino alla catalogazione dei feticismi era vago e comprensivo di ogni tipo di “scambio di vestiti”, poi, precisamente Hirschfeld, alla fine del 1800, notò che lo “scambio di vestiti” poteva essere sia sintomo di disforia di genere ( e quindi portare alla volontà di appartenere all’altro sesso completamente) sia un semplice desiderio sessuale.

Allora come facciamo a non confonderci???

Come possiamo distinguere il Crossdresser (nel senso di persona che si traveste DA altro sesso) dal Travestito (nel senso di feticista)? Se non altro per non offendere la gente.

Nei testi specifici ho notato che, nelle traduzioni come nei testi scritti da italiani, gli studiosi tendono a mantenere il termine Crossdresser con tutte le sue declinazioni. Esiste infatti anche il Crossplay, incrocio tra Cosplay e Crossdressing, ovvero il Cosplayer veste i panni di un personaggio del sesso opposto al suo di appartenenza. Anche la Garber viene tradotta infatti con “travestito” per il termine inglese “transvestite” e viene lasciato “crossdresser” così com’è.

Come si dipana tutto ciò?

Ho scoperto da testi di psicologia che la differenza viene invece definita. Allora perché non la usano tutti?

La differenza sta nella precisazione clinica praticamente, poiché il nuovo concetto è “Feticismo di travestimento“. Quindi “Travestito” è la traduzione di “Crossdresser” e “Feticista di travestimento” è la persona che si eccita nel vestire i panni dell’altro sesso. “Transvestite”, in inglese? NO. Pare sia lo stesso anche per l’inglese, dove gli specialisti del settore hanno ritenuto necessario specificare che si tratta di “Transvestic fetishism“, come dice questa enciclopedia dei disordini mentali nel link da me riportato che io spero non essere un testo autorevole. Vista la foto.

Abbiamo quindi perso la generalizzazione del Sweet transvestite per qualcosa di più preciso?

Bah, lo spero, nel senso che spero la gente, soprattutto i comunicatori, possano documentarsi un pochino prima di scrivere imprecisioni sull’identità del prossimo.

Il concetto per quanto mi riguarda è che dovremmo completamente abbattere le etichette, ma la strada è lunga e le parole hanno un significato e una storia che le rende potenti, quindi aggiornarsi per bene prima di rischiare di chiamare qualcuno con un altro nome sarebbe auspicabile (mi è capitato un sedicente autore teatrale che, parlando di Princesa, la protagonista della canzone di De André, le desse del travestito, confondendo completamente il senso della canzone in questo caso. Ma la gente parla sempre di cose che non sa)

Oppure chiamatela semplicemente PERSONA.

Note:

– i link con asterisco sono affiliati

– sarei contenta mi correggeste nelle imprecisioni con fonti più accreditate delle mie. C’è sempre da imparare